Certamente la partita di ieri lascia l'amaro in bocca ed oggi risulta difficile, a parte il cronico cinismo sotto porta, trovare un difetto vero e proprio a questa squadra. Bastava guardare ieri le facce dei giocatori del Sassuolo: smarrite, stravolte, impaurite davanti a tanta pressione, quasi rassegnate a prendersi (la giusta) imbarcata, come è successo contro Fiorentina e Sampdoria. Poi nel calcio avviene l'imponderabile e becchi goal in un modo rocambolesco. Il rimpallo del cross di Berardi dopo un fantastico intervento di Rodriguez 9 volte su 10 finisce in calcio d'angolo. Ieri quella palla è tornata indietro proprio sul piede di Berardi. Come si suol dire la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo. E dei tre pali colpiti vogliamo parlarne? Il fulmine di Mandragora è un concentrato di coordinazione e tecnica. Un centrocampista normale raramente fa quelle cose.
Possiamo rimproverare a Sanabria l'impegno, le doti tecniche, l'elevazione,la capacità di essere il vero regista offensivo della squadra? No. Gli manca il guizzo sotto porta e c'entra poco la mancanza di freddezza. Quella è poco allenabile perché alla struttura fisica di Sanabria manca quel decimo di secondo per anticipare il difensore. Ed allora non saremmo il Toro se non avessimo quel destino che ci lega alla storia, quella sorta di sfortuna contro la quale combattiamo, da sempre. Non è autolesionismo ma forse il destino di noi tifosi granata. La partita di ieri mi ricorda tanto la sfida tra Torino e Verona del 1984, quando si arrivò secondi. Partita dominata eppure il Verona vinse 2-1. Solo ricordare quella partita dà la misura di quanto questa squadra sia cresciuta. E allora bisogna amarla perché è proprio il Toro, nel bene e nel male.