Solo il fato li vinse
Solo il fato li vinse

“Solo il fato li vinse”

Il 4 maggio 1949 l’Italia pianse i campioni del Grande Torino. Venne proclamato il cordoglio nazionale, a cui seguirono funerali solenni, senza precedenti. Per giorni stampa e periodici riempirono le loro pagine con le notizie e le foto dei rottami, che consegnarono i granata al mito e gli aspetti più macabri dell’incidente ai lettori affamati di particolari. Pratiche rituali e formazioni discorsive contribuirono a conservare i caduti a Superga come presenze «vive». Eppure presto l’attenzione si affievolì fino quasi a scomparire, relegando le vittime ad un oblio conservativo, in quella sorta di oscurità provvisoria che passa tra la celebrità del vivente e il balzo nel pantheon dei grandi. 

Basilica di Superga
Superga - Grande Torino

Quelle pratiche del ricordo sono giunte fino ai nostri giorni. Ripetute negli anni, moltiplicate nelle iscrizioni sulle lapidi fuori dagli stadi, riprodotte in articoli, libri e film, reiterate nei discorsi ufficiali e nelle parole quotidiane, hanno elevato i calciatori granata al rango di simboli condivisi da tutti gli italiani oltre che in punti di riferimento di una visione del mondo manichea, quella dei tifosi del «Toro», che preesisteva alla tragedia e aveva nell'opposizione sociale alla Juventus il suo fondamento principale. 


Quanto mai curiosa le scelta dell’immagine per la copertina. Non la foto simbolo del Grande Torino a cui siamo tutti abituati, ma una foto di Gigi Radice, portato in spalla dai suoi giocatori al termine della partita Torino-Cesena del 16 maggio 1976, che valse per il Torino il trionfo dopo 27 anni di attesa. Raccontando le emozioni di quel giorno allo stadio, Carlo Grandini sul «Giornale» scrisse: «È giusto che sia finita così. Perché il Torino non è soltanto Campione d’Italia ma Campione di tutti gli italiani. Superga seguiterà a brillare come sacrario dove si custodiscono memorie pulite, le cose migliori di noi. 

Il Grande Torino

Domenica ero anch’io appollaiato sulla tribuna stampa dello stadio Comunale e confesso di non aver mai assistito a un simile spettacolo di colori e passione. Sotto un diluvio di coriandoli che si liberavano nell’aria vidi sbocciare tutti i vessilli, grandi e piccoli, cuciti e stirati in ventisette anni, e che li agitava, piangendo e senza furore, si mise a cantare. Cantarono insieme decine di migliaia di persone, scandendo il nome del Toro: tutte insite, non sbagliando né il ritmo né la battuta, come sanno fare soltanto gli inglesi quando si radunano a Wembley e intonano l’inno tenendosi sottobraccio. Il nuovo Torino è perfino riuscito a farci capire che possiamo cantare in settantamila senza doverci vergognare».
 

A quante memorie ha dato vita la tragedia del Grande Torino? Cosa è stato fatto per tutelarle, e da chi? Chi ha il diritto di rivendicare l’esclusività del ricordo, i familiari dei giocatori, dei giornalisti e degli avieri caduti a Superga? La società del Torino, o la città di Torino? I tifosi del «Toro» o tutti gli sportivi italiani? Chi ha vissuto la tragedia o chi ha dovuto portarne il peso? Cosa è rimasto oggi del ricordo di un avvenimento di cui per ragioni anagrafiche i testimoni diretti sono sempre meno, in un mondo iperconnesso e bulimico di emozioni? Ed ancora, dal momento che la sistematizzazione del passato produce contemporaneamente etica pubblica, quali definizioni di idea di sport, di società civile si configurano nel ricordo dei campioni granata? In occasione del 75° anniversario della tragedia di Superga, il volume dello storico Stefano Radice tenta di rispondere a queste e ad altre domande, con la speranza di contribuire alla conoscenza dell’impatto sul lungo periodo, o dell’eredità, del Grande Torino, dal 1949 ai giorni nostri.


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